Due anni sul #booktok
Dieci consigli di lettura e qualche riflessione sulla mia esperienza
Questa newsletter è un po’ diversa dal solito. Sono infatti trascorsi due anni da quando ho iniziato a parlare di libri su Tiktok e, in occasione di questo piccolo anniversario, mi sono ritrovata a riflettere su cosa questa esperienza abbia significato per me. Per quanto sia una piattaforma da molti bistrattata e criticata per tutti i suoi aspetti più negativi (che pure, non lo nego, esistono), non posso nemmeno negare che, per quello che mi riguarda, aver trovato il coraggio di espormi mi ha cambiata in modi che non avevo previsto, sia come lettrice che come persona. Non solo mi ha aiutata ad affrontare la mia intrinseca timidezza, a trovare una sicurezza che non ero certa di avere; mi ha anche formata, educata e mi ha permesso di elaborare un gusto letterario personale che sento mi rappresenta completamente. Volevo quindi approfittare di questo spazio per condividere alcune di queste riflessioni e, per concludere, i dieci libri che più hanno segnato questi miei primi due anni sui social.
L’inizio è stato in realtà piuttosto random. Avevo aperto da poco la partita iva per lanciarmi nel mondo della libera professione e in quelle prime caotiche settimane, in cui pensavo di dover fare tutto ed essere ovunque, avevo deciso di creare un profilo Tiktok in cui parlare della mia attività come social media manager: un po’ perché credevo di dovermi fare pubblicità, un po’ perché volevo imparare ad usare una piattaforma in costante crescita e che altrimenti, dato il settore molto poco affine in cui lavorano gran parte dei miei clienti, non avrei avuto modo di sperimentare.
Ho scoperto ben presto due cose: primo, che creare contenuti inerenti al digital marketing mi annoia tantissimo; secondo, che Tiktok, per contro, mi diverte un sacco. Fortunatamente sono riuscita finora a garantirmi un giro di clienti per altre vie e questo mi ha dato la possibilità di prendere il mio neonato profilo e trasformarlo in un progetto tutto mio, che nel corso dei mesi è diventato la mia più preziosa creatura e quella di cui, a costo di sembrare sentimentale, vado più fiera.
Ho cominciato a fare recensioni in maniera del tutto casuale. O meglio, credo di aver vissuto una sorta di epifania. Avevo già, nel corso degli anni, avuto esperienze di scrittura su blog e riviste online, che erano andate progressivamente esaurendosi. Poi, nel marzo 2023 ho letto Vardo. Dopo la tempesta di Kiran Millwood Harvrage, un libro che mi ha colpito a tal punto che, nel momento in cui ho girato l’ultima pagina, ho pensato “okay, devo parlarne con qualcuno. Voglio che altri leggano questo libro”. Ricordo ancora che era un venerdì notte e quando la mattina dopo mi sono svegliata, nella calma del sabato, ho aperto Tiktok e ho girato la mia prima recensione. All’epoca la durata massima dei video era ancora limitata a soli 3 minuti e ho fatto fatica a condensare in così poco tempo tutto quello che avevo da dire. Ciononostante quel primo esperimento mi ha aperto un mondo da cui non sono più voluta uscire.
Sul “booktok” si dice continuamente di tutto: c’è chi lo associa principalmente al fantasy e al romance, chi contesta una certa omologazione (“si vedono sempre gli stessi titoli”) e chi critica quello che viene percepito come un modo di vivere la lettura dai tratti consumistici e capitalistici; ma c’è anche chi afferma che, proprio grazie alle community nate su Tiktok, ha iniziato - o ricominciato - a leggere e ha scoperto una passione genuina e positiva, sviluppando col tempo gusti letterari personali e variegati. Di mio credo che, entro certi limiti, tutti questi discorsi possano coesistere e rivelare alcune verità, alcune sfaccettature di un mondo che, a scapito di quello che si possa percepire all’esterno, è comunque estremamente vasto e diversificato. Non credo né pretendo di potermi ergere a giudice di un fenomeno così ampio, quindi mi voglio limitare a condividere la mia personale esperienza. Perché mi rendo conto, oggi, di essere una lettrice piuttosto diversa - e in un certo senso, credo, migliore - di quella che ero quando ho registrato quella prima recensione.
Partiamo da qui: sono sempre stata un’avida lettrice. Uno dei miei ricordi più vividi risale all’estate dei miei 10 anni. Ero impegnata nella rilettura di tutti i romanzi di Harry Potter fino ad allora pubblicati ed ero arrivata al quarto, Il Calice di Fuoco, così immersa nella storia che non me ne volevo staccare nemmeno a tavola. Mia nonna, disperata (poveretta), mi disse chiaramente che “leggere all’ora dei pasti fa fare indigestione”. Probabilmente non ne poteva più di vedermi girare con quei libri in mano e aveva finito per formulare la nostra versione del “fare il bagno subito dopo aver mangiato fa venire il mal di stomaco”. Oggi questa cosa mi fa ridere, perché per anni sono stata convinta che fosse consigliabile leggere solo a una certa distanza dai pasti e per un certo periodo quello è stato forse l’unico freno che la mia fame di storie ha conosciuto.
Da ragazzina, alle scuole medie, divoravo fantasy. Poi al liceo ho scoperto i classici. Non ricordo il titolo che ha rappresentato il mio battesimo, ma una volta scoperti non ho più voluto saperne di altro. Entravo nella libreria vicina alla mia scuola e andavo dritta allo scaffale dei classici, che peraltro non era nemmeno particolarmente ben fornito: da lì il mio ingenuo timore di poter un giorno esaurire tutti i libri da leggere. Per quasi cinque anni mi sono destreggiata tra Victor Hugo, le sorelle Bronte, Dostoevskij e Charles Dickens. Poi, con l’inizio dell’università, sono cresciuta e cambiata. Sono stati anni strani, ad essere sincera, in cui alternavo periodi di avide letture ad altri in cui, sopraffatta dal carico di studio, non toccavo un libro per mesi. Quando tuttavia leggevo, gravitavo sempre di più verso la narrativa contemporanea, presa da un bisogno (dettato probabilmente dal fatto che studiavo Relazioni internazionali e, nel tempo libero, un paio di lingue orientali) di capire meglio le culture diverse dalla mia e cosa succedesse davvero nel nostro mondo.
In generale, però, superata la fase dei classici, sono diventata una lettrice appassionata ma confusa. Leggevo un po’ di tutto, ma senza sapere esattamente cosa mi interessasse davvero. Mi facevo facilmente influenzare dal giudizio degli altri, compravo (o prendevo in prestito) titoli senza un particolare criterio, spaziando tra i generi più diversi non perché avessi un reale interesse ma semplicemente perché piacevano agli altri e quindi, supponevo, sarebbero piaciuti anche a me.
Anche nel momento in cui sono approdata su Tiktok rientravo nella categoria dei lettori confusi. Durante i primi mesi le mie recensioni, pur sincere e personali, erano un miscuglio di cose diverse. Non è, in realtà, un periodo che giudico negativamente, anzi: credo che gli anni di esplorazione apparentemente sconclusionata mi abbiano aiutato a capire cosa davvero mi piace.
E qui arriviamo alla prima riflessione cruciale che ho formulato recentemente: entrare nel #booktok è stato di importanza fondamentale nel processo di scoperta e delineamento di un mio gusto letterario personale. L’avere un canale in cui parlare delle mie letture in modo articolato e strutturato mi ha dato il modo, il tempo e lo spazio di pensare a quello che leggo in maniera critica e approfondita, andando oltre le prime impressioni e permettendomi di scavare sotto la superficie. È stato esattamente l’opposto della tendenza alla superficialità che in molti credono che il #booktok favorisca. Questo mi ha aiutato a capire cosa effettivamente mi interessa, che tipo di trame e che stili di narrazione mi piacciono, che temi voglio conoscere: ho capito, ad esempio, di non essere una persona che nei libri cerca lo svago e l’intrattenimento (o comunque, non solo); voglio leggere per riflettere, per imparare qualcosa, per conoscere, per mettere in discussione quello che già so e per acquisire qualcosa di nuovo. Ho capito di prediligere un certo tipo di letteratura e, sebbene non corrisponda a quella che generalmente si associa al #booktok, focalizzarmi su di essa mi ha permesso di riunire una mia community di lettori con gusti affini che continua a crescere. Per quanto l’idea generale sia che per avere successo bisogna parlare dei libri più gettonati, nel mio piccolo credo invece che la carta vincente sia un’altra: banalmente, leggere ciò che si ama. Nulla infonde fiducia nelle persone quanto il dimostrarsi sinceri, genuini e soprattutto appassionati rispetto alle cose di cui si parla.
Peraltro, per quanto mi riguarda, quest’essere riuscita a delineare i contorni di ciò che mi piace ha anche innescato un meraviglioso circolo virtuoso per cui non smetto mai di trovare nuovi libri che mi interessano e che voglio leggere. In parte perché una lettura tira l’altra, ma soprattutto perché in questo modo ho diminuito moltissimo il margine di errore e mi capita ormai piuttosto raramente di prendere un abbaglio e scegliere una lettura che si rivela poi deludente. Questo non vuol dire, naturalmente, che tutti i libri che leggo mi conquistano e mi rapiscono o mi cambiano la vita. Tuttavia, nella stragrande maggioranza dei casi sono comunque letture che mi lasciano qualcosa e che mi fanno dire “è stato tempo ben speso”, che mattoncino dopo mattoncino concorrono a formarmi come lettrice e come persona.
Proprio a questo circolo virtuoso è dovuta anche la crescita esponenziale del numero delle mie letture. Come dicevo, ho sempre letto molto e nei miei periodi migliori arrivavo ad accumulare una settantina di letture annuali. Un numero comunque alto e che già all’epoca spingeva alcune persone a chiedermi ma come fai? ma non esci mai? ma non dormi? (Spoiler: sì, anche chi legge ha una vita). Ecco, negli ultimi anni sono arrivata a superare i cento libri letti senza troppi patemi. Anzi, mi sono proprio divertita.
Naturalmente, accanto a queste cose per me positive, ci sono stati anche momenti in cui ho messo in dubbio quello che stavo facendo, momenti in cui mi sono sentita confusa o perfino scoraggiata: l’algoritmo che lavora per vie arcane e misteriose incomprensibili a noi comuni mortali, gli utenti anonimi che commentano cattiverie gratuite per il solo gusto di offendere e criticare, la collaborazione tanto sperata che non arriva, il video che hai preparato con tanto amore che si blocca a una manciata di visualizzazioni. Ho avuto anche io la fase in cui ero abbagliata dall’attrattiva di ottenere quante più contatti e collaborazioni possibili o in cui ho inseguito i trend nella speranza di andare virale e guadagnare follower. In una certa misura fa parte del gioco, dell’esperienza di stare sui social (tranne gli insulti, quelli non li giustifico).
Però, dopo aver accumulato una serie di frustrazioni, mi sono fermata a riflettere sul perché mi ostinassi a pubblicare video e investissi così tanto tempo in questo progetto (un progetto che, non l’ho detto, ma si è esteso nell’ultimo anno e che include oggi anche questa newsletter, un canale YouTube e la mia solita pagina Instagram). Dire che i numeri non contano equivarrebbe allo sfociare nell’ipocrisia: i numeri contano nella misura in cui a nessuno piace stare su un palco e parlare a un teatro deserto. Avere un riscontro è importante, perché in fin dei conti i social sono luoghi di condivisione e chiunque apra un profilo su una qualsiasi piattaforma lo fa perché spera in un dialogo, in un qualcosa di reciproco.
Eppure, quello che sono arrivata a capire e che, ripeto, rispecchia la mia esperienza individuale e personale, è che questi spazi virtuali che ho creato hanno un senso non solo perché altri li trovano piacevoli, ma soprattutto e prima di tutto perché fanno stare bene me. Sono luoghi in cui sento di potermi esprimere in totale libertà, in cui posso essere io senza dover zigzagare tra paletti e ostacoli posti da altri. In termini pratici questo vuol dire che, ad esempio, per quanto io sappia che vanno di moda i trend e i meme, ho deciso di non riprodurli perché sono contenuti che non mi fanno sentire particolarmente a mio agio; per contro, le recensioni e gli approfondimenti lunghi e dettagliati mi portano spesso meno visualizzazioni rispetto ad altre tipologie di video, però li trovo stimolanti da preparare, e quindi va bene così. Più in generale, ho preso la decisione che questi piccoli spazi che ho costruito con tanta passione e dedizione sono diventati per me così importanti e così intrinsecamente benefici che non voglio compromettere la libertà che ne deriva per nulla al mondo. Se già nella vita di tutti i giorni dobbiamo sottostare ai dettami e ai ritmi del lavoro, alle scadenze, alle richieste e alle pressioni degli altri, non voglio sacrificare una cosa nata per passione sull’altare dei numeri e degli algoritmi, né investire energie nella creazione di contenuti che non mi soddisfano o perdere troppo tempo a domandarmi perché una certa persona non mi ha risposto o perché una certa occasione non è andata a buon fine. E mi piace pensare che, quali che siano i propri gusti, i propri generi prediletti, le proprie attitudini personali, essere genuini sia la chiave di tutto, la via più semplice per spiccare in un mare ormai magnificamente popolato di tante voci diverse.
Trovo piuttosto simpatico che questa esperienza sui social mi abbia fatto capire una cosa che in fin dei conti l’Alessia di 20 anni sapeva già, mentre litigava con la nonna per poter leggere ancora qualche pagina di Harry Potter e il Calice di Fuoco: mi piace leggere. E mi piacciono i libri. Il resto non è poi così importante.
La top 10 dei miei due anni su Tiktok
Ci sono libri che sono particolarmente felice di aver letto e consigliato in questi due anni. Sono titoli che in qualche modo hanno segnato il mio percorso su Tiktok, che ho amato e di cui ho parlato spesso. Nel giorno in cui ho raggiunto quota diecimila follower, mi è venuta la curiosità di chiedere alle persone che mi seguono “a che libro mi associate?”. Le risposte sono state tantissime e mi ha piacevolmente sorpreso vedere come molti di quei titoli corrispondessero a quelli che io stessa ritenevo per me più importanti. Per concludere questa piccola walk down memory lane, ho quindi pensato di mettere insieme questa sorta di top 10. Mi rendo conto ora che ci sono assenze importanti: non ho citato romanzi come Tomorrow and Tomorrow and Tomorrow di Gabrielle Zevin, a cui penso costantemente con un affetto immenso, o Weyward di Emilia Hart, che è stata la mia prima collaborazione con una casa editrice. Tuttavia, quelli che seguono sono titoli che sento mi rappresentano e che continuo a consigliare a chiunque sia in cerca di letture memorabili.
Vardo. Dopo la tempesta di Kiran Millwood Hargrave
Questo elenco non poteva che partire da Vardo, il libro che ha rappresentato l’inizio di tutto. La cosa divertente è che mia madre aveva passato mesi a dirmi di leggerlo e io per qualche motivo non mi decidevo mai. E quando infine l’ho fatto, mi si è aperto un mondo. Vardo racconta la storia vera di una comunità dell’estremo nord della Norvegia, dove agli inizi del Seicento gran parte degli uomini morì in mare durante una tragica tempesta e le donne, rimaste sole, dovettero reinventarsi e prendere in mano le redini del paese per sopravvivere e provvedere a se stesse. La loro intraprendenza e il loro coraggio non fu però perdonato dalle autorità che, sull’onda della cristianizzazione del paese, videro nella loro indipendenza l’onta malvagia di pratiche stregoniche.
Non dite che non abbiamo niente di Madeleine Thien
Non dite che non abbiamo niente di Madeleine Thien è il mio libro preferito e provo per lui un certo miscuglio di gelosia e orgoglio. Voglio che tutti lo leggano e al tempo stesso voglio che rimanga una cosa soltanto mia. Non sono nemmeno mai in grado di descrivere di cosa parla in un modo che gli renda giustizia: questo è quanto lo amo. Si tratta, di fatto, della storia di una famiglia, che si staglia sullo sfondo della Cina del secondo Novecento, negli anni che vanno dalla fondazione della Repubblica alle rivolte di Piazza Tienanmen: prima eroi della rivoluzione, poi controrivoluzionari e nemici del regime, dilaniati tra la volontà di credere nel Partito e nella società che questo cercava di creare e la disillusione, la voglia di fuggire. Ma è anche una dichiarazione d’amore per l’arte, che va - o dovrebbe andare - al di là della politica e dei conflitti, e che nel contesto di quegli anni terribili diventava qualcosa per cui valeva la pena vivere e perfino morire.
Fumana di Paolo Malaguti
Alla domanda “a che libro mi associ?”, la risposta più gettonata è stata proprio Fumana. E io non potrei esserne più onorata. Paolo Malaguti è un autore che leggo e apprezzo da diversi anni, perché in qualche modo con i suoi libri mi fa sentire a casa: racconta le mie zone, i miei paesaggi, in qualche modo i miei ricordi, anni passati che io non ho vissuto ma che percepisco abitando questi luoghi. Fumana è l’ultima meraviglia che ha scritto, e per me la più grande: ambientato nella bassa del Po, tra i canali avvolti dalla nebbia più fitta, racconta di una giovane, chiamata appunto Fumana (“nebbia”), che cresce con il nonno e viene istruita nelle arti segrete delle strigosse.
Una delle cose più belle che mi sono successe sui social in questi due anni è stata proprio l’onda di amore che è nata attorno a questo libro: da quando l’ho consigliato, lo scorso settembre, decine e decine di persone mi hanno scritto per raccontarmi la grande emozione che hanno provato leggendolo; in molti l’hanno condiviso con la madre, la zia, la nonna e grazie a questa storia hanno riscoperto vicende legate alla propria famiglia. E questa credo sia la più grande bellezza di questo romanzo: la forza che ha nell’unire le persone attraverso le generazioni risvegliando ricordi di un passato comune.
La chimera di Sebastiano Vassalli
La chimera - romanzo bellissimo vincitore del Premio Strega nel 1990 - è stato uno dei primi libri che ho recensito e uno di quelli che ha fatto nascere il mio interesse per le storie che hanno a che fare con i processi per stregoneria e la caccia alle streghe. Racconta infatti di una giovane, Antonia, abbandonata alla nascita e affidata a una famiglia di un piccolo borgo fuori Novara, che una volta cresciuta e diventata troppo bella e indipendente viene accusata di praticare stregoneria. A due anni di distanza ricordo ancora i brividi che ho provato leggendo la parte finale, e in particolar modo l’ultima pagina, con quel monito che ci ricorda che sebbene quel passato ormai lontano ci paia oggi “così silenzioso, così morto”, in realtà “rispetto al nostro presente fu soltanto un po’ meno attrezzato per produrre rumore, e un po’ più esplicito in spietatezze”.
Sonecka di Marina Cvetaeva
Tra quelli elencati, Sonecka è l’ultimo titolo a essersi guadagnato un posto in questa top 10. E vi è entrato in modo del tutto inaspettato e dirompente. L’ho preso senza saperne quasi nulla con l’obiettivo principale di ricevere il bellissimo calendario di Adelphi e mi sono ritrovata a piangere la notte e a sfogliarne le pagine per mesi. Sonecka è una storia d’amore, la più poetica che abbia mai letto. Racconta del profondo legame che ha unito l’autrice, Marina Cvetaeva, alla Sonecka del titolo, una giovane attrice che nella Russia postrivoluzionaria del 1919 la poetessa ha frequentato per una manciata di mesi e che ha amato per il resto dei suoi giorni. E infatti la Cvetaeva scrisse queste pagine nel 1937, “quando ormai tutto annunciava la catastrofe finale”.
Atti umani di Han Kang
Che Han Kang sia una scrittrice immensa ormai è chiaro a tutti e ogni nuovo romanzo ne è una conferma. La scorsa settimana ho letto il discorso di accettazione del Nobel, tradotto da Lia Iovenitti, e pur trattandosi di fatto di un libricino di 39 pagine ho trattenuto a stento le lacrime. C’è qualcosa di incredibilmente intimo e sconvolgente nella prosa di Han Kang che riesce a infrangere qualsiasi barriera e a insinuarsi a un livello davvero profondo e primordiale.
Atti umani rimane per me il suo libro più potente, perché coniuga la sua scrittura suggestiva con una denuncia quanto mai attuale. Rende giustizia ai fatti drammatici di Gwangju del maggio 1980, quando il governo del presidente Chun Doo Hwan mandò l’esercito a reprimere nel sangue le proteste dei cittadini che si opponevano all’ennesimo regime dittatoriale e militare; ma si estende e si espande per diventare anche un necessario grido di protesta contro ogni forma di violenza e contro ogni potere ingiusto. È un monito necessario, oggi come allora, per ricordare le vittime della storia e far sì che tutti rimangano vigili e attenti, per scongiurare che simili tragedie si ripetano.
Io ci sarò di Kyung Sook Shin
Nella newsletter che ho dedicato, questo gennaio, a questo romanzo meraviglioso l’ho definito “un inno alla gioventù coreana dei travagliati anni Ottanta”. Io ci sarò racconta infatti la storia di tre giovani che nelle aule di un’università di Seoul stringono una forte amicizia e vengono poi travolti dagli orrori di quel decennio di proteste e contestazioni che così profondamente ha segnato la storia coreana. È un romanzo incredibilmente malinconico, pervaso da una costante tristezza, che è tanto più commovente se si considera che è ispirato alle esperienze che la stessa autrice ha vissuto negli anni Ottanta, quando anche lei era una studentessa universitaria e ha visto amici e conoscenti scomparire misteriosamente e rimanere feriti in modo irreparabile.
Dio di illusioni di Donna Tartt
Dio di illusioni è stato per lungo tempo il mio romanzo preferito e, sebbene sia poi stato spodestato da Non dite che non abbiamo niente, rimane uno dei miei libri del cuore. Per anni la mia vita da lettrice è stata un’incessante ricerca di un titolo che mi facesse provare le stesse sensazioni, che sapesse evocare atmosfere simili a quelle del capolavoro di Donna Tartt. Una ricerca che, purtroppo, non ha dato risultati e ormai sono convinta che come Dio di illusioni non esista nient’altro, quindi la soluzione che ho trovato è quella di rileggerlo periodicamente e consolarmi sapendo di avere almeno lui (sono a quota quattro riletture e la mia copia ormai minaccia di cadere a pezzi). Quello che amo in modo particolare, oltre alle atmosfere di questo piccolo college del Vermont, è il discorso che Donna Tartt riesce a intessere sul privilegio e su una concezione della cultura che diventa elitaria, riservata a un gruppo ristretto di persone: una cultura che, se scollegata e disconnessa del mondo reale, rischia di diventare pericolosa.
La figlia della foresta di Juliet Marillier
Sebbene io oggi non sia più una così avida lettrice di fantasy (genere che comunque continuo ad apprezzare e a cui so di dovere molto), la saga di Sevenwaters è una di quelle a cui torno sempre con fedeltà, affetto e dedizione. Accanto a lei sta il ciclo di Avalon di Marion Zimmer Bradley, il che rende palese la mia predilezione per la mitologia celtica e il suo immaginario. La figlia della foresta riprende la fiaba popolare dei sei cigni, resa famosa dai fratelli Grimm e da Hans Christian Andersen, e la trasporta nell’Irlanda del decimo secolo: qui, in un castello circondato da un’immensa foresta vive il clan di Sevenwaters, da secoli custode dell’antica sapienza di quei luoghi. La sua stabilità è tuttavia destinata a incrinarsi con l’arrivo della misteriosa Lady Oonagh, che seduce Lord Colum e trasforma i suoi sei figli in cigni. Toccherà alla figlia più giovane, Sorha, unica femmina della famiglia, trovare il modo di salvare i suoi fratelli.
La figlia della foresta e i successivi volumi sono per me la definizione ultima di coccola: romanzi che riescono a trasportarmi in luoghi e tempi lontani, fatti di castelli e fortezze e popolati da creature fatate - che, potendo scegliere, è più o meno dove vorrei vivere anche io.
Piccole donne di Louisa May Alcott
L’ultimo titolo è un ritorno alle origini. Piccole donne è stato uno dei primi romanzi che ho letto da sola, in un’edizione discutibile che avevo comprato insieme a mia mamma su una bancarella al lido di Jesolo. Da allora l’ho riletto non so quante volte e altrettante ho guardato qualsiasi adattamento cinematografico mai prodotto. Credo che una buona metà della mia personalità sia dovuta all’essere cresciuta avendo Jo e le sorelle March come punto di riferimento. E devo dire che ne vado anche piuttosto fiera.
Come sempre, grazie per avermi letto fino a qui. Se avete domande o approfondimenti su questioni specifiche che vi piacerebbe leggere nelle prossime newsletter, scrivetemi in qualsiasi momento.
Vi auguro buone letture e vi aspetto nella prossime newsletter (e come al solito su tutti i social).
Alessia
Auguri per questi due anni! 🎉
La passione e l'amore che trasmetti per ogni nuovo libro che ci racconti mi fa ricordare perché amo leggere, è davvero un piacere seguirti ed essere "influenzata" dalle tue letture.
Grazie per ogni consiglio e per i prossimi libri che ci farai scoprire!🩷
Una delle mie booktoker preferite in assoluto ❤️ auguri per questi due anni, a mille altri titoli da consigliarci ✨️