Talee Letterarie | Yu Hua. L'uomo di fronte alla storia
Due opere per esplorare la sua visione dell'uomo e della storia: Vivere! e Cronache di un venditore di sangue
Ciao, che bello ritrovarci nella prima newsletter del 2025!
Pur nella mia latitanza, l’apprezzamento per gli ultimi articoli è stato estremamente caloroso e di questo sono grata e felice. In queste settimane di feste, tra un panettone e l’altro, ho preparato il piano editoriale del 2025. Mi sono data obiettivi realistici ma ambiziosi (ha senso?), con scadenze che spero conto di riuscire a rispettare e tanta voglia di scrivere e studiare. Inauguriamo quindi l’anno parlando di uno degli autori cinesi che più mi piace leggere: Yu Hua, scrittore piuttosto prolifico e dalla prosa a volte bizzarra ma incredibilmente intensa, molto amato e tradotto anche nel nostro Paese.
Rappresentando nella storia in forma concentrata le assurdità e le bizzarrie della realtà sociale, ho capito di poter scrivere di qualsiasi cosa.
Yu Hua, intervistato da Nicoletta Pesaro
Yu Hua: da dentista ad acclamato scrittore
Yu Hua nasce a Hangzhou il 3 aprile 1960, figlio di una coppia di medici. Un anno dopo la sua nascita, il padre si trasferisce nella piccola contea di Haiyan, dove realizza il sogno di diventare chirurgo, e convince la famiglia a raggiungerlo. Yu Hua cresce per lo più in solitudine: è un bambino timido, che all’asilo non parla molto e non gioca con i compagni, e a casa rimane spesso da solo con il fratello maggiore, mentre i genitori sono impegnati in lunghi turni di lavoro. Più tardi, quando è ormai in quarta elementare, Yu Hua e la sua famiglia si trasferiscono a vivere in un compound dell’ospedale, proprio di fronte all’obitorio.
Quasi tutte le sere risuonavano alle mie orecchie pianti disperati. In quegli anni fui ossessionato dalle grida addolorate di uomini, donne, vecchi e bambini; ne udii così tante. Spesso durante la notte mi svegliavo al suono ripetuto di quei lamenti. Mi capitò anche di vedere di giorno i parenti di un defunto che addolorati piangevano all'ingresso dell’obitorio; allora spostavo uno sgabellino fino all’entrata di casa e rimanevo seduto a guardarli mentre piangevano e si consolavano a vicenda.
Yu Hua (fonte)
Quella prossimità con la morte e con la sofferenza degli esseri umani influenzerà ampiamente la sua opera nei decenni a venire. E tuttavia all’epoca il giovane Yu Hua non prova timore nei confronti di quel luogo, ma anzi trascorre lunghe ore all’obitorio, uno spazio fresco, sempre pulito, tranquillo e silenzioso. Addirittura ci dorme, rannicchiato sui letti di marmo dell’obitorio: “Durante la rivoluzione culturale eravamo tutti totalmente materialisti e quella paura [della morte] non era neppure contemplata”, ha detto.
Yu Hua inizia ad amare la letteratura quando il padre procura a lui e al fratello una tessera della biblioteca cittadina, che riapre nel 1973 dopo la chiusura forzata negli anni della Rivoluzione culturale. I primi libri che legge sono i classici romanzi di propaganda, tra i pochi che riescono a superare le rigide barriere della censura comunista e a ricevere l’approvazione del regime. Sono libri “noiosissimi”, come lui stesso li descrive, eppure in lui nasce una passione destinata a durare. Ma Yu Hua assegna ai dazibao il ruolo di primo vero maestro letterario: i manifesti propagandistici “pieni di bugie, accuse e denunce” con cui si accusavano i nemici del popolo, affissi lungo le strade delle città. “La Rivoluzione Culturale ha fatto emergere tutto il potenziale della forza immaginativa cinese, perché le persone si inventavano continuamente crimini le une contro le altre.” Tornando a piedi da scuola, si fermava a leggere tutti poster che incontrava, li studiava, li analizzava: “Non ero interessato agli slogan rivoluzionari, ma ai dettagli con cui venivano raccontati e descritti i vari crimini.”
Eppure non è alla carriera letteraria che approda una volta terminati gli studi superiori, nel 1977. Prova il test d’ingresso all’università per due volte, ma senza successo e al terzo tentativo si arrende. All’epoca era lo stato ad assegnare un lavoro ai cittadini e Yu Hua, seguendo le orme dei genitori, si ritrova a dover vestire il camice. Per cinque anni fa il dentista, il cavadenti, estraendo denti a una clientela composta principalmente da contadini. “Oh, non mi piaceva per niente”, ha detto in un’intervista, raccontando che doveva lavorare per 8 ore al giorno, con solo la domenica di riposo, una routine che mal si addiceva alla sua personalità e che non riusciva a conciliare con la sua vivida immaginazione. Si licenzia nel 1983, ottenendo il permesso governativo di lasciare il posto di dentista dopo che una rivista accetta di pubblicare un suo racconto. In quegli anni, infatti, aveva iniziato a scrivere, inizialmente dividendosi tra lavoro e passione per la letteratura: di giorno estrae denti, di notte pensa ai suoi racconti.
Quando abbandona finalmente la professione di odontoiatra, per alcuni anni lavora negli uffici culturali del distretto: è il primo significativo passo che gli permette di avvicinarsi al lavoro dei suoi sogni. Nel decennio successivo scrive con sempre maggior rigore e negli anni ‘90 pubblica i suoi primi romanzi: prima L’eco della pioggia (在细雨中呼喊, Zài xì yǔ zhōng hūhǎn), nel 1991, poi l’anno seguente Vivere! (活着, Huózhe), il suo primo grande successo, che diventa anche un film nel 1993 (parzialmente censurato in Cina, viene tuttavia premiato al Festival di Cannes). Grazie alla scrittura, lascia la cittadina d’origine per trasferirsi prima a Jiaxing e poi a Pechino: nel mentre legge, studia, sperimenta e i suoi romanzi iniziano a ottenere consensi in patria e all’estero.
È curioso: in Occidente gli scrittori godono di prestigio e riconoscibilità. Da noi, invece, non hanno alcuna reputazione sociale, soprattutto presso i politici. Come scrittori cinesi siamo abituati a non essere presi in considerazione. […] Oggi gli scrittori continuano a contare poco, il loro ruolo non cambia certo con i social.
Yu Hua, in un’intervista a Panorama del 2018
Una letteratura proletaria?
La storia ha, nella narrativa di Yu Hua, un ruolo imprescindibile. Non è solo lo sfondo delle vicende che l’autore racconta: ne è anche in una certa misura l’origine, la causa scatenante. Nato quando il regime maoista era nel pieno delle sue fasi più calde, l’infanzia di Yu Hua fu segnata quasi interamente dalla Rivoluzione culturale, lanciata da Mao Zedong nel 1966, quando lui aveva appena 6 anni, e terminata dieci anni dopo, nel 1976. I tumulti e le sofferenze di quell’epoca, così come il turbolento periodo seguito alla morte del Grande Timoniere, hanno segnato in modo inconfutabile la sua produzione letteraria.
Lo spazio riservato alla letteratura nella Cina rivoluzionaria è stato estremamente circoscritto. Con i discorsi di Yan’an, tenuti da Mao all’interno della Conferenza sulla letteratura e sull’arte del maggio del 1942, il grande leader aveva indicato la via per la successiva produzione artistica nazionale: la letteratura e l’arte dovevano piegarsi ai dettami dell’ideologia e porsi al servizio della rivoluzione, facendosi strumento di propaganda e di educazione delle masse. Gli intellettuali dovevano scendere in campo in modo deciso, diventare guide per il popolo e fare del popolo il proprio soggetto e il proprio destinatario principale. Non era una tendenza del tutto nuova: già nei decenni immediatamente precedenti, e in particolare in seguito alla nascita del Movimento della Nuova Cultura nel 1919, il ruolo del letterato aveva iniziato a cambiare, allontanandosi dalla tradizione confuciana e ricercando un contatto maggiore con la realtà delle masse. Con Yan’an e con l’avvento della Repubblica, questo processo era destinato a subire una svolta ancora più decisa e in senso esplicitamente marxista.
I nostri operatori culturali devono senz’altro compiere questa missione, spostare il proprio punto di vista, immergersi tra le masse operaie e contadine, immergersi nel processo di lotta reale; studiare il marxismo e la società e avvicinarsi gradualmente a operai, contadini e soldati, avvicinarsi al proletariato. Solo così avremo una vera letteratura per operai, contadini e soldati, una vera letteratura proletaria.
Mao Zedong
I confini entro cui scrittori e artisti potevano muoversi (legalmente), dunque, erano stati delimitati con precisione e sarebbero rimasti saldi per anni, con momenti di incerte aperture seguiti da altri di chiusura ancor più ferrea. Senza entrare ora nel merito del complesso rapporto tra lettere e potere nella Cina del secondo Novecento (magari ne parliamo in una futura newsletter?), è importante sapere che è in questo clima estremamente politicizzato, un clima che diventerà ancora più estremo nei dieci anni della Rivoluzione culturale, che Yu Hua inizierà a leggere e poi a scrivere. È importante perché proprio in risposta a questo annichilimento delle arti, lui e gli scrittori della sua generazione cercheranno, una volta finita l’era maoista, nuove strade e nuove forme di espressione.
Con la morte di Mao nel 1976 e il successivo revisionismo, nel panorama culturale cinese si aprirono infatti spazi inediti. Gli anni Ottanta, in particolare, furono all’insegna di un fervore culturale che portò artisti, scrittori e intellettuali a un profondo esame di coscienza, con l’avvio di un’importante riflessione sul ruolo dell’arte nella società. Fu un periodo di grande sperimentazione e di ricerca di nuovi soggetti, di nuovi linguaggi e di nuovi temi, che ebbe per protagonisti alcuni dei nomi più grandi della letteratura cinese contemporanea: Mo Yan, Ma Yuan, Ma Jian, Su Tong, Ge Fei, Yan Lianke, Can Xue, giusto per citarne alcuni. E Yu Hua, naturalmente.
Fu infatti in questo clima di fermento e aperture che Yu Hua si affacciò sulla scena letteraria, ottenendo i primi riscontri come scrittore. Il fervore culturale di quegli anni era tuttavia destinato a scontrarsi drammaticamente con i fatti di fine decennio, e soprattutto con le conseguenze della tragedia di piazza Tianan’men del maggio-giugno 1989. Lo sconforto e il senso di impotenza di fronte a una simile recrudescenza degli aspetti più repressivi del regime erano acuiti dal profondo cambiamento che, sulla scia delle riforme e dei processi di modernizzazione e urbanizzazione che la Cina stava precipitosamente perseguendo, aveva investito anche la figura stessa dell’intellettuale. Chi scriveva, chi faceva arte non aveva più quel ruolo preciso, quel compito ben definito, che il confucianesimo prima e il maoismo dopo gli avevano assegnato. Di fronte alla tragedia occorreva ricominciare da capo, riflettere, rielaborare: chi era dunque l’intellettuale? La letteratura e l’arte dovevano essere uno strumento per educare le masse o dovevano portare divertimento ed evasione? Dovevano avere un significato morale? Le questioni aperte erano molteplici.
Due opere per comprendere la narrativa di Yu Hua
I primi scritti di Yu Hua hanno un che di bucolico. Ma la rottura, la presa di coscienza, avviene molto presto. Alla metà degli anni Ottanta, quando lascia il lavoro di dentista per impegnarsi nel suo sogno di diventare scrittore, sulle sue pagine appare subito la violenza, un tema che rimarrà centrale nei decenni a venire. Nel racconto 1986, titolo che richiama in modo non troppo velato l’anno di inizio della Rivoluzione culturale (il 1966), Yu Hua scrive del fantasma di un professore di storia che infligge su se stesso e sugli altri malcapitati i supplizi e le torture che storicamente il popolo cinese ha dovuto subire. In Un altro tipo di realtà la violenza si consuma tutta all’interno di una famiglia, quando l’errore di un bambino da origine a una serie di morti, vendette e omicidi grotteschi.
Negli anni Ottanta, per me l'intero processo di scrittura consisteva nel rifiutare e ribellarmi al discorso e alla logica dell'era di Mao. L'ho ripreso in mano vent'anni dopo, ma questa volta ho cercato di affrontarlo con l'umorismo. Data l'impronta indelebile che tale logica e discorso hanno lasciato su quell'epoca, se devo scrivere di quell'epoca non c'è modo per me di evitarlo. Ma ora lo congelo con l'ironia o lo infiammo con la satira.
Yu Hua (fonte)
Con gli anni Novanta la sua opera prende una forma più compiuta e Yu Hua inizia a scrivere romanzi. Due di questi sono particolarmente significativi per inquadrare l’evoluzione della sua scrittura. Vivere! (活着 Huozhe), pubblicato nel 1992, e Cronache di un venditore di sangue (许三观卖血记 Xu Sanguan mai xue ji), di tre anni successivo, descrivono un’interessante parabola nel rapporto tra uomo e storia, tra uomo e potere.
Vivere! racconta la storia di Fugui, contadino ormai anziano che, avendo trovato un interlocutore interessato (un giovane inviato nelle campagne a raccogliere ballate popolari), ripercorre le numerose vicende che hanno segnato la sua vita: momenti drammatici che lui ricorda e racconta con il sorriso sulle labbra. Nato in una famiglia benestante, il giovane Fugui ha sperperato le ricchezze del padre, perdendo tutto nel gioco d’azzardo. Inizia così un periodo di incredibili difficoltà per Fugui e per la sua famiglia, che deve trovare un modo per tirare avanti, facendo fronte a fatiche e sofferenze indicibili, tra fame, lutti e umiliazioni. Una miseria che toccherà non solo lui, ma anche la moglie e i figli, e che lo porterà a una vecchiaia di solitudine. Yu Hua descrive tutto questo con la sua prosa asciutta, senza fronzoli, ironica e soprattutto spiccatamente realista nel decretare l’ineluttabilità del destino.
La grande storia della nazione è sullo sfondo ed è filtrata attraverso le vicende di Fugui: c’è la guerra, c’è l’invasione giapponese, c’è la rivoluzione, ma l’uomo è inerme di fronte a esse. Le subisce, senza alcun controllo. La differenza principale con le opere del passato maoista sta proprio lì: non c’è slancio patriottico, le sofferenze non sono lì per insegnare qualcosa, i personaggi non fungono necessariamente da esempio per i lettori. La Storia non è una grandiosa marcia per il progresso: è violenta e ingiusta, spesso crudele.
In Cronache di un venditore di sangue, pubblicato nel 1995, Yu Hua torna a riflettere sul concetto di destino, ma lo fa da un’ottica diversa. L’uomo non è più del tutto indifeso di fronte all’incombere della Storia. Yu Hua gli assegna una scelta, un potere che gli viene da dentro, dal proprio corpo. Il protagonista di Cronache di un venditore di sangue è infatti Xu Sanguan, lavoratore di una fabbrica di seta, che scopre di poter costruire il proprio destino vendendo il sangue e ricavandone denaro. Ogni volta che la vita lo pone davanti a momenti di difficoltà, Xu Sanguan si reca all’ospedale, si fa prelevare una certa quantità di sangue e riceve il sostanzioso compenso che gli spetta per la sua prestazione. È così che riesce a sposare la donna che desidera e che, più tardi, può far fronte ai problemi dei tre figli - che ha chiamato tutti Felice. Vendere il sangue non è cosa facile e, a lungo andare, gli provoca importanti problemi fisici. Non è nemmeno ben visto, e la moglie continua a ricordarglielo. Ma Xu Sanguan sa che è l’unico modo che ha per decidere della propria vita nei momenti difficili. È notevole, se consideriamo il contesto ideologico cinese (tutto incentrato sul gruppo, sulla collettività, a scapito del singolo), vedere come questo romanzo sia in fin dei conti una celebrazione del potere dell’uomo come individuo completo in se stesso, non più fagocitato dagli eventi e dal fato, bensì in grado di prendere in mano la propria esistenza.
Entrambi i romanzi si situano all’interno della corrente letteraria del neorealismo, un tentativo portato avanti dagli scrittori per cercare di sanare le ferite dell’epoca maoista, di recuperare un contatto con il reale riponendo al centro della narrazione l’individuo nella sua concretezza. Yu Hua parla quindi di uomini, di donne, di famiglie, dei loro bisogni materiali e delle loro difficoltà quotidiane, senza il costante richiamo all’ideologia e alla dottrina marxista. Anzi, quando il racconto diventa politico, il tono è quello della critica, con un gusto marcatamente ironico:
Ora siamo nel 1958, l’anno della Comune popolare, del Grande balzo in avanti, del movimento per la produzione dell’acciaio, e che altro ancora? Al villaggio di mio nonno e del Quarto zio le terre sono state requisite. D’ora in avanti nessuno avrà più la proprietà della terra, che apparterrà tutta allo Stato, e se uno la vorrà coltivare dovrà prenderla in affitto. Al tempo del raccolto dovrà dare allo Stato una quota di grano come tassa. Lo Stato insomma assomiglia al proprietario terriero di una volta, ma ovviamente non è un proprietario terriero, bisogna chiamarlo Comune popolare…
Cronache di un venditore di sangue, Yu Hua
Spesso la prosa di Yu Hua appare fredda e distaccata nel raccontare fatti drammatici, altre volte il risultato è invece spiccatamente teatrale, quasi caricaturale. Asciutta e senza fronzoli, come dicevamo, ma proprio per questo arriva in modo molto più diretto al cuore del discorso.
È bene ricordare che la censura è un’ombra sempre presente, per qualsiasi scrittore cinese. La letteratura gode di una qualche libertà in più rispetto al cinema, data dal fatto che i censori sono gli stessi editori: se uno rifiuta un’opera perché troppo rischiosa, un altro può valutare diversamente l’investimento e accettare di pubblicarla. Ma è una linea sottile e ogni autore deve muoversi con cautela all’interno di un perimetro non sempre tratteggiato con certezza. Yu Hua ha spesso ribadito che lo spettro della censura aleggia costantemente attorno al suo lavoro. In un’intervista, ad esempio, parlando del più recente romanzo Il settimo giorno, ha detto di essere “stato fortunato”, perché alcune case editrici avevano inizialmente rifiutato di prenderlo in considerazione e in molti all’uscita del libro sono rimasti sorpresi del fatto che fosse stato pubblicato senza incappare in ulteriori censure.
Allontanando le sue storie nel passato - un passato che è sempre più facilmente criticabile del presente - e dando alle sue trame un certo tocco assurdo e surreale, Yu Hua riesce in qualche modo a sfuggire alle ripercussioni più negative. Lo fa per amore del suo Paese, senza odio, forse solo con un certo rimpianto. E questo i suoi lettori lo sanno.
Non sono una persona coraggiosa. Avevo molto da dire, ma avevo paura di dirlo. Speravo che qualcun altro avrebbe parlato e lo avrebbe detto per me. Ma gradualmente ho capito che se tutti la pensassero così, la Cina non avrebbe un futuro così luminoso. Quindi mi sono detto che dovevo farmi avanti e dire la mia, e l'ho fatto. Ho molta speranza per il futuro della Cina perché sempre più persone stanno parlando e criticando il governo. Questo mi metterà nei guai? Semplicemente adesso non ho tempo per pensarci.
Yu Hua (fonte)
Come sempre, grazie per avermi letto fino a qui. Colgo l’occasione per augurare a tutti voi un sereno 2025, ricco di letture magnifiche.
Se avete domande o approfondimenti su questioni specifiche che vi piacerebbe leggere nelle prossime newsletter, scrivetemi in qualsiasi momento.
Vi auguro buone letture e buone feste e vi aspetto nella prossime newsletter (e come al solito su tutti i social).
Alessia
Ciao Alessia, questo 2025 su Substack comincia con una serie di coincidenze...
Sto scrivendo anche io una puntata su un romanzo di Yu Hua (Il settimo giorno): pensavo di pubblicarla oggi, ma quando ho visto arrivare la tua newsletter mi sono subito fermata per leggerla, prima. È interessantissima! Se non ti dispiace, la uso come fonte per una parte in cui cerco di approfondire la visione di Yu Hua sulla morte.
Grazie :)