Talee Letterarie | "Atti Umani" e il massacro di Gwangju
Han Kang racconta la tragedia che ha plasmato e ispirato la democrazia sudcoreana
Ciao, che bello rivederti qui!
Finalmente sono tornata anche su questi schermi. Per tutto il mese di aprile non ho scritto nulla, nonostante io abbia letto un sacco di cose davvero molto belle (ho finalmente affrontato Demon Copperhead, tra l’altro: ne sono uscita in lacrime, come previsto). Ho comunque in cantiere diversi approfondimenti - secondo me - super interessanti e non vedo l’ora di poterli condividere con voi.
Ricomincio quindi a scrivere oggi, con una newsletter a cui tengo moltissimo, che arriva in occasione dell’anniversario dei tragici fatti di Gwangju del 1980. Per ricordare la drammatica protesta repressa nel sangue iniziata il 18 maggio nella cittadina sudcoreana, questo mese con il #GDLcoreano abbiamo deciso di leggere Atti Umani di Han Kang, un potentissimo resoconto di tali eventi.
Come sempre, di seguito trovate l’approfondimento sul contesto storico-politico del romanzo, oltre ai miei pensieri su questa incredibile lettura.
Han Kang e Atti Umani
Dalla quarta di copertina
Una palestra comunale, decine di cadaveri che saturano l’aria di un "orribile tanfo putrido". Siamo a Gwangju, in Corea del Sud, nel maggio 1980: dopo il colpo di Stato di Chun Doo-hwan, in tutto il paese vige la legge marziale. Quando i militari hanno aperto il fuoco su un corteo di protesta è iniziata l’insurrezione, seguita da brutali rappresaglie; "Atti umani" è il coro polifonico dei vivi e dei morti di una carneficina mai veramente narrata in Occidente. Conosciamo il quindicenne Dong-ho, alla ricerca di un amico scomparso; Eun-sook, la redattrice che ha assaggiato il "rullo inchiostratore" della censura e i "sette schiaffi" di un interrogatorio; l’anonimo prigioniero che ha avuto la sfortuna di sopravvivere; la giovane operaia calpestata a sangue da un poliziotto in borghese. Dopo il massacro, ancora anni di carcere, sevizie, delazioni, dinieghi; al volgere del millennio stentate aperture, parziali ammissioni, tardive commemorazioni. Han Kang, con il terso, spietato lirismo della sua scrittura, scruta tante vite dilaniate, racconta oggi l’indicibile, le laceranti dissonanze di un passato che si voleva cancellato.
Atti Umani è il potentissimo racconto – romanzato, ma ispirato ai fatti reali – di quello che successe a Gwangju nel maggio 1980, quando l’esercito, mandato dal dittatore Chun Doo Hwan, represse brutalmente nel sangue le proteste dei cittadini che chiedevano la fine di decenni di regimi autoritari e militari e invocavano la tanto agognata democrazia.
Luogo natale dell’autrice Han Kang, Gwangju è oggi una città del sud della Corea con quasi un milione e mezzo di abitanti, situata all’interno della provincia del Jeolla Meridionale*. È stato un centro storicamente attivo nelle battaglie per l’indipendenza e la democratizzazione della Corea, sfondo in diverse occasioni di proteste e lotte civili portate avanti con coraggio dai suoi cittadini. Già nell’autunno del 1929, nel periodo dell’occupazione giapponese della penisola coreana, gli studenti lanciarono il cosiddetto Movimento per l’Indipendenza degli Studenti di Gwangju, il secondo più importante movimento indipendentista dopo quello del 1° marzo 1919 (di cui avevamo parlato qui). Nel 1980 tornò nuovamente ad essere lo sfondo delle lotte della popolazione e di quello che passò alla storia come uno dei più tragici eventi della storia coreana novecentesca, una ferita che segnò profondamente gli anni a venire e che ancora oggi rappresenta un momento cruciale del lungo processo di democratizzazione del Paese.
[*Pur essendo territorialmente all’interno del Jeolla Meridionale, Gwangju è una città metropolitana autonoma.]
Han Kang, che all’epoca degli eventi aveva 10 anni e si era da poco trasferita a Seoul con la famiglia, ha raccontato diverse volte di essere venuta a conoscenza di quanto accaduto dai genitori e di aver preso coscienza dell’orrore grazie a un libro fotografico trovato nella libreria del padre. Ciò che la spinse poi a scrivere Atti Umani, opera per molti diversi completamente diversa dal resto della sua bibliografia, fu la tragedia di Yongsan del 2009: uno scontro tra la polizia e i residenti di un edificio del quartiere nel centro di Seoul, che rifiutavano di lasciare le proprie abitazioni in seguito allo sfratto, causò diverse vittime e l’incendio del palazzo stesso. Le forze dell’ordine, fu rivelato in seguito, non seguirono le normali procedure e le misure di sicurezza necessarie, trasformando la protesta in una tragedia. “용산은 바로 광주였던 것”. Yongsan era Gwangju. Un pensiero che Han Kang ripete spesso, anche in Atti Umani:
“Ricordo di essere rimasta incollata al televisore a guardare il grattacielo bruciare in piena notte ed essermi sorpresa per le parole che mi sfuggirono di bocca: Ma è Gwangju.”
Han Kang, Atti Umani
소년이 온다
Il titolo originale dell’opera, in coreano, è 소년이 온다 (sonyeoni onda) ed equivale a “il ragazzo viene/sta venendo”, perdendo, in traduzione, molta della sua forza. L’edizione italiana ha mantenuto il titolo scelto per la traduzione inglese, Human Acts, deciso dalla traduttrice Deborah Smith, dopo una tortuosa ricerca di un valido sostituto:
It was, then, a long and rather convoluted road that brought me to the eventual title: Human Acts, a phrase which to me embodied the neutrality, disorienting and even terrifying, inherent in the fact that these can be both tender and violent, brutal and sublime, committed by the same individuals.
Deborah Smith, traduttrice dell’edizione inglese (fonte)
Atti Umani è diviso in cinque capitoli, narrati da altrettanti punti di vista differenti, ma che ruotano tutti attorno ai fatti successi in quei giorni di maggio tra l’Ufficio Provinciale e la palestra comunale di Gwangju. Il perno attorno cui è ancorata la storia è Dong Ho, il ragazzino che, dopo aver visto l’amico Jeong Dae venir colpito da un proiettile durante gli scontri ed essere scappato senza di lui, resta coi ribelli nella speranza di ritrovarlo, finendo però per rimanere ucciso a sua volta. Con la divisa scolastica e i capelli tagliati corti tipici degli studenti delle medie, Dong Ho è il simbolo di tutte le vittime innocenti causate da quella inumana violenza.
Nei capitoli successivi ritroviamo Jeong Dae, il suo spirito che lotta tenacemente per non abbandonare questo mondo mentre i soldati scaricano i corpi dei civili rimasti uccisi in una pila disordinata e danno loro fuoco; la redattrice che, a cinque anni dagli eventi, cerca di fare i conti con quanto ha vissuto a Gwangju, così come il prigioniero che a distanza di anni porta ancora i segni delle torture subite in carcere dopo essere stato catturato dalle forze dell’ordine; e infine l’operaia che, ormai nel nuovo secolo, sa che nel tempo le lotte sono continuate e hanno portato alcune vittorie e altre sconfitte. Il romanzo è chiuso da Han Kang stessa che, unendo finzione e realtà, racconta cosa significa Gwangju per lei e come è arrivata a scrivere queste pagine.
Atti Umani è il racconto lucido di quello che l’essere umano è capace di compiere per il potere. Quelli di Gwangju sono eventi reali, legati a un tempo e uno spazio preciso, ma anche un simbolo universale, che travalica i confini della città e della nazione. Ed è in questo che risiede la sua forza. Leggere Atti Umani oggi lascia sorpresi e spiazzati, perché quei fatti lontani appaiono ancora fin troppo attuali. Come ricorda la stessa Han Kang:
그러니까 광주는 고립된 것, 힘으로 짓밟힌 것, 훼손된 것, 훼손되지 말아야 했던 것의 다른 이름이었다. […] 광주가 수없이 되태어나 살해되었다. 덧나고 폭발하며 피투성이로 재건되었다
“Gwangju era diventato un modo per definire tutto ciò che è isolato con la forza, oppresso e brutalizzato, tutto ciò che è stato irreparabilmente mutilato. […] Gwangju era rinata solo per essere nuovamente massacrata, in un ciclo infinito. Era stata rasa al suolo e riedificata in una sanguinosa rinascita.”
Han Kang, Atti Umani
Brevissima storia delle dittature sudcoreane
La fine della seconda guerra mondiale coincise, nella penisola coreana, con la fine dell’occupazione giapponese, durata oltre 30 anni. La tanto sognata indipendenza, tuttavia, non si tradusse in un periodo di pace, né tantomeno nell’avvio di un processo di democratizzazione. La divisione della penisola in due metà iniziò ben presto a delinearsi, con un nord sotto l’influenza sovietica e un sud sostenuto dagli Stati Uniti. Proprio Washington favorì l’installazione al potere di Rhee Syngman, che nel 1948 sarebbe diventato il primo Presidente della Corea del Sud e che avrebbe guidato il Paese fino al 1960, quando fu costretto a fuggire in esilio alle Hawaii. Fervente anticomunista, fin dall’inizio cercò di eliminare qualsiasi minaccia – presunta o reale – di una deriva a sinistra, finendo tuttavia per sfruttare tale paura anche per rimuovere oppositori e avversari politici. Tra gli episodi più drammatici della sua presidenza spicca il massacro di Jeju del 1948-49, dove persero la vita decine di migliaia di persone (forse anche oltre 60.000) dopo che l’esercito reagì brutalmente e represse nel sangue le proteste dei civili che si opponevano alla divisione della Corea in due metà.
Nei mesi che seguirono l’abbandono del Paese da parte di Rhee Syngman, si susseguirono brevi governi ad interim che non riuscirono a imprimere una svolta significativa e a captare le richieste di democrazia che emergevano con sempre più forza dalla popolazione. Il risultato fu lo sprofondare della Corea del Sud nell’instabilità politica e sociale, che produsse un terreno fertile per l’avanzata dei militari. Nel 1961 Park Chung Hee, generale dell’esercito, prese il potere con un colpo di stato, dando vita a una dittatura militare destinata a durare quasi 20 anni. La Corea era all’epoca uno dei Paesi più poveri al mondo e Park lavorò soprattutto per favorire lo sviluppo economico della nazione. E ci riuscì: la Corea del Sud prese a crescere a un ritmo sostenuto, rapidissimo e impressionante. Questo in una certa misura gli garantì il sostegno della classe media, appagata dalla nuova ricchezza, e di quanti furono favoriti dalla crescita economica. Per dare un volto (più o meno) democratico al regime, nel 1963 Park indisse – e vinse – nuove elezioni e la stessa cosa avvenne quattro anni dopo. Sviluppo economico e anticomunismo (la minaccia della Corea del Nord tornò a farsi sentire proprio alla fine degli anni ’60) permisero a Park di mantenere il potere, ma il consenso iniziò a scemare sul finire del decennio, quando emersero sia nuove figure politiche (tra tutti è utile menzionare Kim Dae Jung, che avrebbe poi avuto un ruolo fondamentale nel processo di democratizzazione), sia nuove richieste da parte dei lavoratori e dei sindacati, che affiancarono gli studenti rimasti fino ad allora i principali contestatori del regime.
Park rispose sciogliendo le istituzioni e proclamando una nuova costituzione, detta Yushin, che di fatto gli diede il potere di rimanere in carica a vita, concentrando il potere nelle proprie mani e in quelle di un grappolo di fedelissimi membri dell’élite militare. Gli studenti e la società civile si mobilitarono in risposta a quella che appariva come un’allarmante (l’ennesima, ma forse ancor più grave) deriva autoritaria: molti persero la vita nelle proteste e nelle rivolte che segnarono questo periodo. Park fu infine assassinato nel 1979 da Kim Jaegyu, direttore della KCIA (l’intelligence coreana), istituzione che – ironicamente – lo stesso Park aveva contributo a rinforzare e a cui aveva assegnato un ruolo centrale nella vita politica del Paese.
Nemmeno la morte di Park si tradusse tuttavia nell’avvio di un processo di democratizzazione, bensì aprì la strada all’instaurazione di una nuova dittatura militare. Chun Doo Hwan, asceso velocemente ai più alti gradi dell’esercito, conquistò il potere nel 1980 sbarazzandosi di Kim Jaegyu e proclamando la legge marziale in tutto il Paese. Fu proprio la brutalità del neonato regime di Chun che produsse uno degli eventi più drammatici della storia contemporanea della Corea del Sud: il massacro di Gwangju del maggio 1980.
Cosa successe a Gwangju
Avevi sbattuto forte le palpebre, le tue ciglia avevano tremato per l’agitazione. Io ti avevo afferrato la mano e ti avevo tirato avanti, verso la testa del corteo, mentre tu mormoravi fra te e te, in preda a una vacua incomprensione: i nostri soldati stanno sparando. Stanno sparando a noi.
Han Kang, Atti umani
Per tutti gli anni ’60 e ’70 la popolazione civile non aveva assistito inerme al susseguirsi dei diversi regimi autoritari. Molte erano state le proteste e le manifestazioni, spesso represse con la forza dal governo. Tra i più attivi oppositori vi erano proprio gli studenti, attivissimi e impavidi nel portare avanti le richieste di democrazia di un popolo stanco e frustrato da decenni di soprusi.
Anche nel terribile maggio 1980, mentre le manifestazioni dilagavano in tutto il Paese (centomila persone protestarono alla Stazione centrale di Seoul il 15 maggio), furono gli studenti di Gwangju ad animare la rivolta, scendendo nelle strade per protestare contro il colpo di stato di Chun Doo Hwan e invocando a gran voce la democrazia. Il 18 maggio si riunirono di fronte all’università Chonnam, peraltro chiusa dal governo proprio in risposta al clima di ribellione che si respirava nell’intero Paese. Vi furono i primi arresti e i primi scontri tra civili e militari, ma la situazione degenerò quando si ebbe la prima vittima ufficiale: Kim Gyeong Cheol, un ventinovenne pestato a sangue dai soldati. Cittadini e operai si unirono agli studenti e la protesta pacifica si trasformò in uno scontro violento destinato a protrarsi per giorni. In un’intervista concessa al Guardian nel 2012, una delle infermiere che il 18 maggio si trovavano in servizio all’ospedale di Gwangju racconta che “c’erano corpi disseminati lungo le corsie e madri che urlavano cercando i loro figli, ma era tutto così caotico che non potevo fare nulla per aiutarle. Non avevamo nemmeno il tempo di sterilizzare gli strumenti prima di portare i pazienti in sala operatoria.” Additata dal governo come rivolta di ispirazione filocomunista e nordcoreana, l’esercito fu inviato per ristabilire l’ordine, i collegamenti telefonici vennero interrotti e le forze armate isolarono la città dal resto del Paese, mentre gli abitanti tentavano di ribellarsi formando persino un governo autonomo.
L’insurrezione fu stroncata solo il 27 maggio, quando l’esercito riuscì a riportare la città sotto il proprio controllo. In quei dieci giorni si registrarono diverse migliaia di feriti e almeno 150 morti tra la popolazione civile, anche se secondo stime non ufficiali i decessi sarebbero molti di più. Gwangju divenne negli anni successivi un emblema di resistenza e democrazia, simbolo tanto di un trauma collettivo quanto del desiderio dei sudcoreani di vivere in una nazione pacifica, democratica e libera, finalmente, da poteri dispotici e violenti.
Dopo Gwangju
Non è stato versato abbastanza sangue? Come può tutto quel sangue essere semplicemente insabbiato? Le anime dei defunti ci guardano. I loro occhi sono bene aperti.
Atti Umani, Han Kang
Gli eventi del maggio 1980 lasciarono a Gwangju una profonda e dolorosa ferita, un trauma che non sarebbe stato superato facilmente. In un primo momento il governo rimase fermo sulla sua linea repressiva e additò Kim Dae Jung, una delle più influenti personalità politiche dell’opposizione, originario proprio di Gwangju, come l’istigatore della rivolta, condannandolo a morte (nel febbraio del 1981 l’intervento del presidente statunitense Ronald Reagan avrebbe poi convinto Chun Doo Hwan a ridurre la pena). Si dovette attendere quasi un decennio affinché la giustizia iniziasse a farsi strada. Chun Doo Hwan pagò per quello che aveva fatto. L’ironia, se così la si può chiamare, volle che egli fosse a sua volta processato e condannato a morte per il colpo di stato e i fatti di Gwangju: avrebbe poi ottenuto la grazia in nome della riconciliazione nazionale nel 1997, per opera proprio di Kim Dae Jung, che sarebbe divenuto Presidente nel 1998 con il compito di traghettare il Paese nel nuovo millennio.
Lo “spirito di Gwangju” viene tutt’oggi ricordato come uno dei pilastri fondanti l’odierna democrazia sudcoreana, che riuscì effettivamente a vedere la luce entro la fine degli anni ’80: un decennio iniziato nel sangue si concludeva così con la nascita di una democrazia considerata oggi tra le più solide del mondo. Nel 1997 a Gwangju venne istituito il cimitero memoriale delle vittime del 18 maggio e dal 2000 la May 18 Memorial Foundation conferisce annualmente il premio “Gwangju Prize for Human Rights” a individui o associazioni che a livello internazionale si battono per i diritti umani, la pace e la democrazia.
Negli ultimi quattro decenni la Corea del Sud ha fatto passi da gigante. Oggi quando pensiamo alla Corea vediamo una nazione forte, dinamica, che esporta cultura e tecnologia in tutto il mondo e che da tutto il mondo viene ammirata (e a volte invidiata). Ma andando oltre la magnificenza del presente - o meglio andando indietro nel tempo - è bene tenere a mente che la Corea di oggi è figlia di decenni di sofferenze, iniziate con l’occupazione della penisola da parte del Giappone, con le umiliazioni subite fino alla fine della Seconda guerra mondiale e seguite da un’altra terribile guerra che ha spaccato un Paese unito in due metà inconciliabili. E mentre il Nord si allontanava sempre più dal resto del mondo, il Sud ha dovuto sopportare quasi quarant’anni di dittatura e i suoi abitanti hanno dovuto lottare, spesso fino all’ultimo respiro, per guadagnare infine la tanto desiderata democrazia. Credo sia importante ricordare cosa ha attraversato questo Paese per arrivare dov’è oggi, sia per apprezzarne ed elogiarne i meriti che per capirne le persistenti (e inevitabili) contraddizioni.
Dong Ho, ho bisogno che tu mi prenda per mano e mi guidi lontano da tutto questo. Dove splende la luce, dove sbocciano i fiori
Cosa leggere e cosa guardare
Io ci sarò di Kyung Sook Shin, edito Sellerio: un bellissimo romanzo di formazione sullo sfondo delle proteste studentesche degli anni ‘80
L’infinito mare dei vent’anni di Hwang Sok yong, edito O barra O: un altro romanzo di formazione, in questo caso ambientato durante le proteste e la crisi degli anni ‘60
Da gambero a balena. Corea del Sud, dalla guerra dimenticata al kpop di Ramon Pacheco Pardo, edito ADD, perfetto per un’infarinatura generale sulla storia della Corea nel secondo novecento
Taxi Driver (2017): un tassista (Song Kang Ho) porta un fotoreporter tedesco a Gwangju nei giorni della rivolta
Youth of May (2021): un drama che racconta le vite di quattro giovani nel periodo delle rivolte democratiche di Gwangju
Colgo l’occasione per ricordare le nostre prossime letture condivise che ci terranno compagnia nel mese di giugno:
con il #GDLcoreano leggeremo Il cuore dei naga - L’uccello che beve lacrime di Lee Yeongdo, un fantasy ispirato al folklore coreano (qui si entra nel gruppo Telegram);
con il #GDLAsia torniamo in Giappone per leggere una nuovissima uscita pubblicata da Harper Collins: Butter di Asako Yuzuki (il gruppo si trova qui)
Come sempre, grazie per avermi letto fino a qui. Se avete domande o approfondimenti su questioni specifiche che vi piacerebbe leggere nelle prossime newsletter, scrivetemi in qualsiasi momento.
Vi auguro buone letture, ci vediamo nella prossime newsletter (e come al solito su tutti i social).
Alessia